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NeXTstation Color su MC Microcomputer 124

Come anticipato nel primo post di questo blog, il mio incontro con il mondo NeXT è avvenuto sulle pagine di MC Microcomputer, nel numero 124 del dicembre 1992. Quasi 24 anni fa. La rivista ormai non esiste più da molti anni, c’è un progetto che ha come obiettivo quello di pubblicarne online tutti i contenuti ma non credo sia più molto attivo. Ho pensato di pubblicare qui una scansione di quell’articolo che fece nascere la curiosità per la NeXT, sperando di fare cosa gradita ai lettori del blog e di non infrangere il diritto d’autore (non so se sia ancora “valido”, essendo morta la rivista e non esistendo più chi ne deteneva i diritti di sfruttamento). L’articolo è di Corrado Giustozzi, storica firma di MC Microcomputer, una delle persone più preparare che io abbia mai incontrato sulla carta stampata. In questa prova, Giustozzi analizza le caratteristiche della macchina, del software, traccia una ritratto storico dell’azienda NeXT e soprattutto sviscera tutte le caratteristiche rivoluzionarie della piattaforma. Anche questo articolo è un pezzo di storia.

 

Smontaggio della tastiera della NeXTstation

È ben noto che la tastiera sia uno degli oggetti più sporchi presenti sulla scrivania, perché sotto i singoli tasti si nasconde dello sporco che non si può rimuovere facilmente. A meno che, ovviamente, non si proceda a smontarla totalmente (operazione tutt’altro che immediata e piacevole).

Dovendo iniziare il restauro della mia NeXTStation N1100, ho deciso di partire dalla pulizia della tastiera. In realtà per questioni di budget e di temporanea (e forse apparente) penuria di offerte su eBay, ho acquistato separatamente tutti i pezzi da fornitori diversi. Dunque la tastiera in questione aveva un’origine ben diversa da tutto il resto dell’hardware acquistato. Dall’esterno appariva sporca, senza dubbio, ma nulla lasciava immaginare ciò che avrei trovato all’interno. Credo le immagini qui sotto rendano l’idea.

Polvere, terriccio (probabilmente la tastiera è rimasta in un magazzino particolarmente esposto alle intemperie), peli/capelli, ragni, non oso immaginare cos’altro. Per prima cosa, ho smontato di due gusci superiore e inferiore, facendo attenzione sia ai cavi sia al bordo di gomma che li tiene uniti. Purtroppo mi sono accorto che tale bordo era già leggermente rotto, dunque ho dovuto mettere in conto un incollaggio prima di rimontarlo.

Utilizzando un keycap puller (facilmente acquistabile su eBay per meno di 5 euro) sono riuscito ad estrarre tutti i tasti.

Non avendolo mai fatto prima, ho usato la povera tastiera della NeXT come cavia. L’approccio, poi rivelatosi vincente, è stato quello di iniziare da uno dei tasti periferici del tastierino numerico, in modo da verificare che il puller fosse correttamente agganciato. Poi ho esercitato una leggera (e crescente) forza verso l’alto, avendo cura di non flettere in direzione obliqua. Pian piano si sono tolti tutti i tasti, ad esclusione di quelli più grandi dotati una piccola leva metallica che ne stabilizza il movimento verticale durante la pressione.

Procedendo verso l’interno, ho potuto poggiare il pollice sul tasto adiacente già rimosso per facilitare l’estrazione.

Per estrarre i tasti più grandi (ENTER, SHIFT, SPACE…) è stato necessario sganciare con delicatezza la leva metallica dalla base della tastiera e successivamente estrarre il tasto con il keycap puller.

Alla fine tutti i tasti sono stati rimossi ed è stato possibile procedere con la pulizia, raccontata nel prossimo articolo.

La tastiera, come riportato da diversi siti, è di produzione ALPS, al cui sigla è visibile sul retro del circuito stampato:

Restauro N1100: da dove cominciare

Io credo che esistano sostanzialmente tre tipi di oggetti nell’ambito del retrocomputing: i pezzi normali, i pezzi impossibili e le trappole. I pezzi normali sono quelli che, a prescindere dalla rarità, possono ragionevolmente essere rimessi in funzione con un po’ di attenzione e pochi attrezzi a corredo. Pensiamo, ad esempio, ad un qualsiasi Commodore oppure ad un Sinclair o ad un Tandy Radio Shack: se l’oggetto funziona, è sufficiente procurarsi una TV o un monitor con ingresso video composito e il gioco è fatto. Se non funziona, si possono trovare pezzi di ricambio. Ci sono poi i pezzi impossibili, quelli totalmente fuori standard, per i quali occorre procurarsi tutta la postazione di lavoro altrimenti non ci si fa nulla. Pezzi, peraltro, che è difficile trovare sia in buono stato che per recupero pezzi.

E poi ci sono le trappole: io credo che i sistemi NeXT siano in questa categoria.

Tecnicamente sono macchine piuttosto recenti (ricordiamo la recensione di MC Microcomputer del 1992) e dotate di hardware ben noto: CPU Motorola 68040, dischi SCSI, porta Ethernet. Teoricamente riesumare la macchina economica della serie (la NeXTStation N1100) dovrebbe essere più o meno equivalente a recuperare un vecchio 486: non possiamo aspettarci di usare le schede video di oggi o le porte USB, ma pian piano ce la si fa. Quantomeno, il monitor VGA sarà sufficiente. Con la NeXT le cose cambiano.

Nell’iniziare il recupero della mia NeXTStation ho fatto una lista delle criticità da affrontare, seguendo un ordine mentale banale ma funzionale: ammesso che l’hardware sia ok, occorrono i dischi di sistema.

  • DISCHI DI INSTALLAZIONE. La maggior maggior parte delle macchine NeXT che si trovano su eBay (o altrove) arrivano con sistema operativo preinstallato. Spesso il venditore consente anche la scelta della versione di sistema (solitamente NeXTStep 3.3 o OpenStep 4.2). Qualcuno fornisce una copia dei dischi di installazione, ma non è  così frequente (e non ho mai visto qualcuno che fornisca i dischi originali). Ammesso, dunque, di aver recuperato da qualche parte una macchina NeXT, prima di fare qualche prova potenzialmente distruttiva, è meglio procurarsi i dischi di installazione del sistema operativo. Qualsiasi errore sul sistema preinstallato o – peggio ancora! – la rottura del disco rigido renderebbero la macchina irrimediabilmente inutilizzabile. Io ho trovato un pacchetto CDROM + floppy originali (e sigillati!) di NeXTStep 3.0. Da questi ho iniziato l’avventura.
  • BACKUP. Recuperati i dischi di installazione, ho pensato fosse opportuno farne una copia fisica di sicurezza e una copia immagine su un disco “moderno”. Trattandosi, infatti, di supporti che hannno una ventina d’anni, è consigliabile non farci troppo affidamento, specie pensando ai floppy che si basano su una tecnologia magnetica e su un supporto non esattamente robusto. Se fare la copia di un CD non è un problema, lo stesso non avviene per i floppy: essendo i PC moderni privi di lettore per floppy disk, è consigliabile procurarsi un floppy disk drive USB, con cui effettuare immediatamente una copia immagine del disco.
  • CDROM DRIVE. Supponendo di aver trovato workstation e dischi originali del sistema operativo (opportunamente protetti su una copia di sicurezza), occorre equipaggiarsi di lettori opportuni. Come detto, il sistema operativo si installava da floppy e CD. Mentre il drive per floppy disk è presente in tutte le macchine NeXT, il lettore CD è presente solo nel costosissimo NeXT Cube ed assente nelle NeXTStation. Occorre, dunque, trovare un lettore CDROM SCSI da connettere alla workstation. Non è cosa banale nel 2015. Agli inizi degli anni ’90, infatti, avere dei lettori CD e per di più SCSI non era così comune. Nello stesso periodo, giusto per fare un confronto, DOS e Windows si installavano da floppy, idem OS/2. Il drive deve essere di tipo SCSI2, compatibile con la porta posteriore della NeXTStation. Se il CDROM drive è stato poco usato e trattato bene, c’è da augurarsi che continui a funzionare per molti anni. Al massimo potrebbe essere necessario aprirlo per pulire la lente, ma non dovrebbero esserci problemi macroscopici (e irrisolvibili) di lubrificazione tipici degli hard disk.
  • STORAGE LOCALE. Si arriva al terzo scoglio: la memoria di massa locale. Le macchine NeXT montano dischi SCSI 50pin, con taglio massimo (di fabbrica) da 400MB e possibilità di gestire dischi con dimensione massima di 4GB. Se non è impossibile trovare dei dischi SCSI (non SAS, ovviamente), più difficile è trovarli di tagli piccoli. Ammesso di trovarli, poi, occorre augurarsi che la meccanica non ceda in poco tempo. È dunque necessario fare una certa scorta di hard disk dell’epoca e possibilmente attrezzarsi con dei cloni (periodici?) su storage recente, da utilizzarsi per ricreare il sistema su dischi sostitutivi.

Nel prossimo articolo parlerò dei supporti originali e della realizzazione delle copie di sicurezza.